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A cura di Rita Coda Deiana
Il filo degli Antichi Mestieri, questa volta, mi ha portata a percorrere i sentieri degli scalpellini (piccapedreri) che, alla fine del 1800, dall’Ogliastra giunsero nel Campidano. Erano esperti lavoratori del
granito sardo che estraevano dalla cava ubicata nella località denominata Santa Barbara, in territorio di Donori. Ancora oggi, tra la macchia mediterranea, dove fanno da sentinelle: il nuraghe Sa Domu ‘e S’Orcu, i resti della chiesetta di San Nicola che, per coincidenza venne scoperta proprio da uno scalpellino nel 1881 e la presenza di una villa di epoca romana, sembra di udire ancora i colpi della bocciarda, che gli esperti scalpellini ogliastrini, depositari di un antico sapere, percuotevano sul granito, con la maestria che li contraddistingueva per la capacità di realizzare informazioni astratte e allo stesso tempo generarne di nuove. Il loro era un antico mestiere in grado di unire e dare luce a un passato-guida, attraverso i meandri del Sapere, sia da un punto di vista artistico che artigianale.
L’Antico Mestiere dello Scalpellino, risale a tempi antichissimi e soprattutto al periodo medievale, quando le arti e i mestieri vennero raggruppati in maestranze e corporazioni. A capo della Maestranza vi era di solito un capomastro che svolgeva la funzione di guida e maestro dei lavori. Fin dall’antichità, l’antico mestiere dello scalpellino ha rivestito un ruolo fondamentale nel progresso dell’umanità, e con l’avanzare delle arti ha arricchito di dettagli ogni manufatto. Un mestiere dove la manualità era di fondamentale importanza, con il suo valore universale che può essere considerata, quasi un tramite tra l’interiorità e l’esterno, tra un potenziale pressoché illimitato e la concretezza dell’atto in sé.
Il valore della manualità in questo mestiere era quindi un’immensa fonte per arricchire il presente e sostenere il futuro, e ancor di più unire ciò che in un primo momento appariva separato e diviso. Era il possibile che si faceva concreto, reale, era punto d’incontro e di riferimento per tutti coloro che attraverso la conoscenza del passato cercavano di alimentare un futuro migliore.
Ma qual è la storia degli scalpellini di Donori? Il capostipite della famiglia degli scalpellini, si chiamava Bernardo Coda ed era originario del Piemonte (Biella). Era un esperto scalpellino che, per questioni lavorative, si trasferì a Ilbono dove poi si sposò. Nel 1880 nacque il figlio Taddeo che, seguendo gli insegnamenti del padre, portò avanti con maestria l’antico mestiere dello scalpellino. Il passato che incontra il presente, quindi, la vecchia generazione che si unisce alla nuova, con la speranza di trasmettere dei valori e delle conoscenze che spesso vanno perdute nel limbo del tempo che passa.
Taddeo, agli inizi del 1900, con una squadra di 30 scalpellini si trasferì nel paese di Donori, dove si innamorò di Giorgina Meloni (nata a Donori nel 1874) e si sposò. Da quest’unione, nel 1907 nacque il figlio Luigi che a sua volta, seguì le orme del padre e del nonno. Ma, nel 1914 quando scoppiò il conflitto della prima guerra mondiale, Taddeo venne chiamato alle armi, vivendo in prima persona, una delle guerre più devastanti della storia moderna. Al suo rientro, riprese il suo antico mestiere, quello dello scalpellino e con lui il figlio Luigi. Ricostituì così, la squadra degli scalpellini per l’estrazione e lavorazione del granito bianco di Donori.
In quegli anni, gli vennero commissionati svariati lavori, come le macine in granito per i frantoi, gli architravi dei portoni e travi (della lunghezza di 2/3 metri) delle abitazioni di Donori, dove molte case sono state realizzate con blocchi squadrati di granito bianco; vasche di contenimento per irrigare gli orti, il restauro in pietra arenaria, del campanile della chiesa di San Giorgio, patrono del paese di Donori (lavoro realizzato prima degli anni ’30); piccola diga di contenimento sul Monte Zurru, realizzata per evitare l’allagamento del paese di Donori.
Ma non solo, gli vennero commissionati anche lavori di grande importanza come la realizzazione del lastricato in granito bianco di via Roma di Cagliari, proveniente dalla cava di Santa Barbara di Donori; le colonne in granito rosso degli uffici della Posta centrale in Piazza del Carmine di Cagliari, in questo caso il granito rosso venne estratto nelle cave presenti tra Burcei e Villaputzu; la scalinata della chiesa del paese di Nureci; i cordoni di granito della diga del paese di Tratalias; e negli anni ’50 tutti i paracarri che la Provincia richiese per la strada che conduceva al paese di Villasalto.
Il granito della cava di Santa Barbara del paese di Donori, era la materia prima ideale per la costruzione di edifici e realizzazione di opere che potessero resistere agli agenti atmosferici. Gli scalpellini erano a conoscenza del valore del granito e con il loro ingegno e abilità, divennero maestri nel trattare questa materia prima così preziosa, dando vita a opere che ancora oggi si possono ammirare nelle chiese, nelle piazze e nelle abitazioni, non solo del paese di Donori, ma di tutto il Campidano.
Ma quali erano le fasi dell’estrazione e lavorazione del granito? Prima di iniziare il lavoro, era compito dell’esperto scalpellino studiare e individuare nella cava, il blocco di granito prescelto per la realizzazione dell’opera. Dopo la scelta del blocco, veniva praticata sul granito una canaletta, dove grazie alla pressione dei cunei di legno e poi di acciaio, avveniva il distacco del blocco di granito. Il taglio del masso poteva essere realizzato seguendo la lunghezza verticale della venatura (Taglio di Spalla), questo avveniva di solito quando il masso si trovava in posizioni scomode oppure, il taglio poteva essere contrario alla venatura (Taglio di Testa), quando il masso veniva tranciato orizzontalmente alla sua venatura.
Gli strumenti utilizzati in questa fase di lavorazione erano: Lo scalpello (scraffeddu) prima in ferro temperato e poi in acciaio, utilizzato dagli scalpellini per intagliare e incidere il masso di granito; La subbia, (subula) scalpello in acciaio con una punta piramidale utilizzato nella fase di sgrossamento e per praticare i fori sul granito da suddividere in conci; Le punte in acciaio di svariate lunghezze; Il mazzuolo e la mazza realizzati con svariati materiali, con la testa battente in metallo; I cunei realizzati in legno o acciaio di svariate forme e dimensioni; Le leve che erano aste in ferro utilizzate per spostare i blocchi di granito.
Dopo questa prima fase di estrazione, il blocco di granito era pronto per lasciare la cava di Santa Barbara. Con l’aiuto delle leve di ferro, gli scalpellini caricavano su carri a trazione animale il blocco, per poi trasportarlo nel paese di Donori. La lavorazione del granito avveniva sul luogo dove si doveva realizzare l’opera. Così, per le opere realizzate a Cagliari, il granito giunse nella città tramite i carri merci delle ferrovie secondarie in partenza dalla stazione di Donori. Nella fase della lavorazione del granito era importante, prima di tutto eliminare le irregolarità del blocco. A questo proposito veniva utilizzata una mazza del peso di circa 4 kg, con il battente in metallo.
Dopo la rifinitura, il granito poteva essere finalmente squadrato e spianato. Veniva misurato con la squadra, strumento prima in legno poi in ghisa e infine in acciaio, formato da due aste ortogonali fra loro, di diversa lunghezza, che veniva utilizzata in tutte le fasi della lavorazione del granito per la squadratura. Nella squadratura era di fondamentale importanza l’utilizzo degli scalpelli, i ferri dello scalpellino (Sas puntas de su piccapedreri), come anche l’utilizzo del compasso (cumpassu) strumento in acciaio, formato da due asticelle fermate da una vite, con apertura angolare che variava a seconda delle circonferenze che si dovevano tracciare.
La fase finale consisteva nella rifinitura del granito, dove l’esperto scalpellino utilizzava la Martellina, simile ad un martello del peso di circa 2 kg con forma triangolare su entrambi i lati; la Gradina, simile alla subbia, dove la dentellatura del bordo da taglio era costituita da una serie di denti paralleli, strumento che veniva utilizzato nelle parti curve; la Bocciarda che era un robusto martello dalla testa quadrata con estremità dentale rettangolare, dalla quale si otteneva una lavorazione liscia ed uniforme.
Gli scalpellini di Donori, prima Taddeo, poi Luigi con due dei suoi figli Giorgio e Taddeo (che fu chiamato come il nonno paterno in suo onore), continuarono a lavorare e a creare arte con la loro maestria, fino all’avvento dei materiali innovativi. Gli scalpellini di Donori, non erano solo forza fisica, ma anche conoscenza approfondita delle caratteristiche del granito che lavoravano, delle tecniche di lavorazione, uomini attenti ad ogni dettaglio. La loro maestria si è tramandata di generazione in generazione, in un ciclo continuo di apprendimento e perfezionamento. Ognuno di loro era in grado di riconoscere il giusto concio di granito da utilizzare per uno specifico progetto, ed erano maestri nell’estrazione e lavorazione, per ottenere il miglior risultato.
Nell’origine del granito bianco, che costituiva la materia prima del paese di Donori e che immutabile vive ancora tra le vie del paese, ritroviamo la stessa tenacia degli uomini-scalpellini che hanno edificato la propria esistenza partendo da elementi essenziali. L’arte e il mestiere antico dello scalpellino, sono fonti inesauribili del sapere originario che tramandato lungo il corso del tempo, si è tramutato in materia prima con la quale plasmare il presente e il futuro.